Omelia nella Liturgia di Commiato di PAOLO PIERUCCI (1962-2014)
“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa”. Dall’annuncio della morte di Paolo siamo confusi, perché vediamo come in uno specchio: ci si proietta il nostro immaginario e non riusciamo a distinguere ciò che è al di là.
La Parola del Signore risorto e la sua presenza fra noi ci offra lo sguardo che sa oltrepassare la terra e il cielo.
Con un forte abbraccio ci stringiamo attorno a Cristina, Giacomo e Sara; al papà e al fratello di Paolo e a tutti i suoi familiari. Per dire, con il silenzio, la nostra fraterna vicinanza.
Saluto il Vicario Generale che porta la presenza dell’Arcivescovo; saluto i Confratelli presenti a questa celebrazione, che a titolo diverso hanno conosciuto Paolo e condiviso con lui parte della vita.
La bellezza suprema è Cristo crocefisso
La Parola di Dio che abbiamo proclamato, e che Cristina mi ha segnalato, ci offre l’opportunità di un viaggio. La Parola cammina per raggiungere l’uomo da vicino e in Cristo, Parola fatta carne, si fa percettibile all’orecchio di ciascuno, e accorcia la distanza col cuore.
Il Cantico dei Cantici ci dona l’immagine che l’amata ha del suo amato. Ne emerge un uomo perfetto e non è un caso che i Rabbini abbiano trasformato in numeri le lettere ebraiche che formano il brano per indicare i qualche modo la ‘misura di Dio’. Così se da quell’uomo bello arriviamo a Dio, da Dio andiamo all’uomo che ne è l’immagine. La bellezza della persona non risiede in sé, ma nel Signore. E sappiamo che la bellezza suprema è Cristo Crocifisso, perché è tutta la pienezza di un amore tangibile.
Paolo e la carità
Nel tempo della malattia Paolo era bello di questa bellezza. L’Inno alla Carità dell’Apostolo ci offre con altri termini i lineamenti di questa bellezza. Parlare le lingue dei popoli e anche degli angeli; essere profeti e conoscere i misteri della vita, e la scienza e la fede; dare tutto e anche il proprio corpo; ogni realtà diventa vuota e insignificante se la motivazione non è la carità.
Il termine “carità” nella Scrittura significa lo sguardo paterno e materno di Dio sull’uomo come la più bella tra le sue creature.
Vive dunque la bellezza chi si sente amato da Dio, guardato e scrutato da sempre, custodito da Lui; una carità che è amore e diviene criterio educativo della propria bellezza.
Paolo ha conosciuto questo sguardo e ha saputo educarsi e crescere nella carità. Quando gli ha chiesto responsabilità di un servizio forte e coraggioso in favore di chi la società metteva da parte con indifferenza; ma anche quando gli ha chiesto di accogliere in questi ultimi anni un corpo fragile che lo limitava nelle opere. Ma mai una vita meno bella e vissuta con fede in ogni sua fase.
Gesù ci offre la cifra della giustizia che, nella Scrittura, non è legata alla legge, ma alle radici o alle fondamenta dell’esistenza. Giusto è l’uomo che edifica la casa della sua vita sulla roccia che è Dio. Anche di fronte alle avverse situazioni, potenti come la piena di un fiume che irrompe, quella casa, quella vita, rimane salda.
Le sue ‘origini’
Questo è il senso del “rimanete in me” che Gesù chiede ai suoi discepoli. Questo è il senso di Maria che “stava” sotto la croce.
Paolo è ‘rimasto’, è ‘stato’, perché ha avuto una buona scuola. La sua famiglia di origine; la sua parrocchia di gioventù, Montecchio, don Roberto e don Orlando come parroci; il consiglio del Vescovo Michetti; don Gianfranco Gaudiano prima e don Franco poi.
La Comunità di via del Seminario; gli ospiti di villa Moscati che respira del suo profumo. Sua scuola sono stati Cristina, Giacomo e Sara. Ma il suo Maestro è stato Gesù. E lui l’ha sempre ascoltato e sulla sua Parola ha edificato se stesso.
Grazie, Paolo
Paolo, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto non con l’illusione del protagonismo, ma da responsabile protagonista della tua vita. Che hai compreso nella bellezza del faticoso servizio. Nell’accompagnare i fratelli, senza giudicarli, solo con l’intento di amare, rispettandone la dignità e favorendola.
Ti ringrazio per l’amicizia che mi hai accordato e la stima. Da anni per tua scelta sono stato padre spirituale e confessore. Che belli e profondi i dialoghi. In confessione tiravi fuori il foglietto con l’esito del tuo esame di coscienza; e prendevi appunti di quel che ti consigliavo. Il tuo assillo era vivere la maturità in Cristo. Vivere l’umanità nella sua bellezza sotto ogni aspetto, anche del limite e della fragilità, in un cammino di perfezione e santità. Non solo per il tuo servizio, ma anche per le relazioni e soprattutto come sposo e come padre.
Ti ringrazio quando, qualche giorno dopo il tuo primo ricovero, ti sei confessato con un filo di voce e, ricevuta l’Eucaristia, hai incrociato le braccia sul petto e hai chiuso gli occhi: capivo di essere di troppo in quel profondo dialogo tra te e il Signore. Ho percepito tangibilmente che significa incontrare Cristo.
Ti ringrazio per le volte che con ironia mi hai detto: adesso ho tempo anche di una scappata ai circolo; perché a causa della tua malattia assaggiavi l’amaro boccone del sentirti esonerato dagli impegni; ma lo dicevi senza rabbia o senso di sconfitta.
Ti ringrazio per le volte che mi hai parlato di tua moglie e dei tuoi figli più che con parole, con la luce unica dei tuoi occhi.
Ti ringrazio per la coerente testimonianza di fede che hai dimostrato e con la quale hai motivato la dignità del tuo vivere nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male.
Questa eredità è sacra. La tua famiglia possa sentirla come dono di una tua presenza che continua fra loro nel Signore.
Perché?
“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa”.
Forse vorremmo chiederci: Perché? Perché questa malattia, perché questa morte?
Possiamo rispondere da cinici: il destino, o ‘cosi è la vita’.
Possiamo rispondere da bigotti: Dio vuole i buoni. Ma la ragione si sente offesa in questo.
La domanda non è: Perché?, ma: Cosa ci sta dicendo il Signore in tutto questo?
Ciascuno, allora, trovi nel suo cuore la risposta leggendo ciò che di bene ha ricevuto la propria vita attraversata dalla storia di Paolo.
“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia”. È giunto per te, Paolo il momento della tua Pasqua personale unito alla Pasqua di Cristo Crocifisso e Risorto.
È giunto per te il momento di vedere quegli occhi che ti hanno visto informe nel grembo di tua madre e sempre ti hanno scrutato con amore. Prega per tutti noi, perché anche noi sentiamo di essere accompagnati da uno sguardo che riempie e ci dona il senso di servire. Amen.
Don Giuseppe Fabbrini,
parroco di S. Maria di Loreto – Pesaro – 26 maggio 2014