Omelia dell’Arcivescovo per il funerale di Don Roberto Matteini

S. E. Mons. Piero Coccia

Omelia in occasione del funerale di don Roberto Matteini,

Parrocchia Santa Maria Assunta in Montecchio, 2 gennaio 2014

Nel cammino della vita, ciascuno di noi si incontra con esperienze difficili da comprendere e impossibili da dominare. La morte è una di queste, anzi è la principale. La morte ci mette con le spalle al muro. Essa si pone come dato di fatto, come realtà data. Di fronte ad essa ogni tentativo di resistenza o di modificazione, risulta vano ed insensato.

Inoltre va constatato che l’incontro con la morte ci pone una serie di interrogativi esistenziali, di quesiti nodali, di domande inquietanti. Al riguardo dobbiamo registrare che nella precarietà e povertà della condizione umana, non troviamo la soluzione al mistero della morte. Di fronte alla morte non abbiamo dunque via di uscita, se non nella fede e con la fede del Signore Risorto. L’esperienza della fede che ci immerge nel Cristo Risorto, è la sola che può dare significato e senso al mistero della morte.

E’ per questa ragione che noi credenti possiamo guardare alla morte con la certezza che essa non è l’ultima parola sulla vita ma solo penultima, perché ci attende la Risurrezione di Cristo ed in Cristo. Questo è quanto le letture bibliche ci hanno detto e la liturgia, nel suo insieme, ci sta dicendo.

Il testo del libro della Sapienza (3, 1-6.9) ci rassicura: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà… In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé”.

La seconda lettera di San Paolo ai Corinzi (5, 1.6-10) ci conferma nella fede della Risurrezione. “Fratelli, sappiamo che quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli”.

Il Vangelo di Giovanni (6, 37-40) ci riporta un brano del discorso di Gesù alle folle, dove la Risurrezione ci è assicurata: “Io sono disceso dal ciclo per fare la volontà di Colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nel’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno “.

Dunque la morte c’è e rimane. Ma grazie alla fede nella Risurrezione del Signore, essa viene riassorbita e tramutata in vita.

E’ con questa incrollabile e fondata certezza che noi tutti oggi affrontiamo la morte di don Roberto. Don Roberto  è  stato  un  sacerdote  che  è  stato provato  dalla sofferenza e che il Signore ha trovato degno di Sé. Don Roberto è stato un sacerdote che ha vissuto l’esistenza terrena come esperienza di tenda e proprio per questo ora riceve da Dio la dimora eterna.

Don Roberto è stato un sacerdote che ha creduto’ in Gesù Cristo Risorto, per questa ragione lo attende la vita eterna.

Ma vado oltre con una successiva constatazione – riflessione. Ogni volta che viene a mancare una persona da noi conosciuta ci chiediamo quale è il patrimonio spirituale che essa ci lascia. Questo vale anche per don Roberto che, con la sua vita integra di sacerdote amato ed apprezzato, ci ha contagiato.

In questo orizzonte mi è caro definire la figura di don Roberto come quella di un sacerdote “laborioso” e “silenzioso”, con tutto ciò che questi due termini implicano ed indicano.

Innanzitutto don Roberto è stato un sacerdote “laborioso” perché ha vissuto il suo ministero sacerdotale con grande generosità senza risparmiarsi in alcun modo, fino al punto di arrivare a compromettere la sua salute. Nei compiti a lui affidati ha profuso non solo il meglio di sé, ma tutto se stesso con slancio, convinzione e passione. Ha sempre anteposto il servizio alla comunità ad ogni calcolo personale. Direbbe Papa Francesco non è stato un chierico di stato né un burocrate. La sua vita è stata totalmente ed intensamente sacerdotale. E’ nota la sua convinta collaborazione con tutti, a cominciare dai confratelli e dai superiori. Non si è mai tirato indietro di fronte a quanto a lui veniva chiesto per il bene della comunità diocesana. Non si è mai impaurito anche di fronte a rinunce e sacrifici, ma ha vissuto queste esperienze nella fede e con la fede, trovando nel Signore la ragione vera del suo impegno, della sua fatica, ma anche della sua serenità sacerdotale.

Ma voglio sottolineare anche come don Roberto sia stato un sacerdote “silenzioso”., dando a tutti un grande esempio di autentica vita sacerdotale. La sua presenza in Diocesi è stata sempre molto discreta ma molto solida. Non amava stare sul palcoscenico, ma dietro le quinte in modo puntuale ed affidabile. Don Roberto è stato inoltre un sacerdote silenzioso perché ha saputo ascoltare e comprendere la precarietà della condizione umana. Ma è stato silenzioso anche perché ha vissuto il silenzio come “luogo” della rielaborazione della Parola. Ha curato la sua vita spirituale nel silenzio della preghiera, dove ha trovato il terreno dell’obbedienza (ob-audio) che poi ha tradotto in scelte di vita. Don Roberto è stato ancora sacerdote silenzioso perché ha contemplato il mistero dell’Eucaristia, lasciandosi abitare e plasmare dalla presenza reale del Signore.

Perciò nel momento in cui, con questa celebrazione, diamo il saluto a don Roberto, ringraziamo il Signore per averci dato un sacerdote laborioso e silenzioso, che però tanto ha parlato a noi con la sua vita integra, con la sua sofferenza lunga, con la sua fede granitica.

L’addio a don Roberto ci corresponsabilizzi nella comunione ecclesiale, ci rafforzi nella spiritualità presbiterale e ci faccia invocare il Signore perché mandi vocazioni alla sua e alla nostra chiesa che è in Pesaro.

Sia lodato Gesù Cristo.

+Piero Coccia

Arcivescovo di Pesaro